Quanto è competitiva l’Italia rispetto all’UE?

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L’Italia è la seconda manifattura d’Europa ed è una “buona” esportatrice. Tuttavia, cresce (molto) meno dei suoi concorrenti europei, ed è ora finita in recessione. Come mai?

A cercare di dare una spiegazione negli ultimi giorni è stato Roberto Monducci, direttore del dipartimento produzione statistica dell’Istat, che ha commentato alcuni dati del Rapporto Istat sulla competitività, nel quale viene specificato come la competitività dell’Italia rimanga alta, sebbene nel 2018 si sia vissuto un leggero rallentamento indotto dalla domanda interna.

A dimostrazione di ciò, l’allargamento del divario di crescita dell’Italia nei confronti dell’area euro, dopo una riduzione nel biennio precedente. In termini più precisi, il Pil è passato dal +1,6% del 2017 al +0,9 del 2018, contro un aumento medio nell’Ue dell’1,8%. Una frenata che sembra essere determinata dalla decelerazione delle componenti interne di domanda.

Il report Istat ci segnala come il contributo dei consumi alla crescita è calato da 0,9 a 0,4 punti percentuali tra il 2017 e il 2018, e che quello della domanda estera netta (ovvero, il livello delle esportazioni meno le importazioni) è passato da un +0,2% a un -0,1%, in un contesto che ha però potuto osservare una frenata maggiore in Germania (da +0,2% a -0,4%).

L’elemento su cui riflettere sembra dunque essere la criticità di trasmettere le buone performance sulle esportazioni al mercato interno, nella consapevolezza che l’export da solo non basta, anzi: negli ultimi anni al fine di poter competere sui prezzi dell’export si sono frenati i salari, a scapito dei consumi. Dunque, nel caso in cui rallenti il commercio internazionale, cosa che sta peraltro accadendo, il nostro Paese non riesce a compensare sul fronte interno.

In aggiunta a ciò, nel 2018 la produttività del lavoro (-0,1% sul 2017), per la prima volta dal 2013 è stata in linea con quella dell’area euro, ma il gap rimane molto elevato: tra il 2000 e il 2016 la produttività oraria del lavoro è cresciuta dello 0,4% in Italia, di oltre il 15% in Francia, Regno Unito e Spagna, del 18,3% in Germania.

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