Chat Facebook, è legittima la denigrazione del datore di lavoro?

In ambito di licenziamento disciplinare, i messaggi che si scambiano in una chat privata su Facebook, possono legittimare tale provvedimento? Sul tema si è espressa la Cassazione civile, con ordinanza n. 21965/2018, secondo cui i messaggi scambiati in una chat privata, anche se con contenuti offensivi nei confronti del datore di lavoro, non costituiscono giusta causa di recesso perché sono diretti a un determinato gruppo di persone e non a una moltitudine indistinta di utenti.

Insomma, la chat va considerata come una corrispondenza privata, chiusa e inviolabile, non idonea a realizzare una condotta diffamatoria.

Il caso

Il caso trae origine nell’estate 2014, quando un dipendente diffondeva su una chat su Facebook, composta unicamente da iscritti al sindacato Flaica Uniti Cub e, dunque chiusa o privata, alcuni messaggi offensivi nei confronti del datore di lavoro. Messaggi offensivi peraltro prontamente interrotti, considerato che all’interno della stessa chat uno  dei partecipanti aveva lanciato l’avvertimento che uno degli utenti presenti avrebbe avuto l’abitudine di riferire il contenuto della chat al datore di lavoro stesso.

Effettivamente, presso la sede del datore di lavoro, a breve distanza, è giunto un plico anonimo contenente un documento costituito dalla stampa di una conversazione su Facebook, contenente i messaggi denigratori. Le affermazioni vengono ritenute offensive dal datore di lavoro, e in grado di travalicare i limiti del diritto di critica, sfociando in una condotta diffamatoria.

La lesione della reputazione

I giudici della Suprema Corte non accolgono però la tesi del datore di lavoro, rigettando il suo ricorso.

Per giungere a tale valutazione, gli Ermellini rammentano come la lesione della reputazione, considerato che è legata al contesto sociale di riferimento, presuppone e richiede la comunicazione con più persone, ovvero la presa di contatto dell’autore con soggetti diversi dalla persona offesa, al fine di renderli edotti e partecipi dei fatti lesivi della reputazione di quest’ultimo.

Tuttavia, nel caso della chat di Facebook la comunicazione è avvenuta in un ambito privato, all’interno di una cerchia di persone determinate. Non vi è dunque un interesse finalizzato alla divulgazione, anche colposa, dei fatti e delle notizie oggetto di comunicazione, ma semplicemente l’esigenza di tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni stesse.

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