La chat deve essere considerata come corrispondenza privata

Netflix abbandona AirPlay

Netflix abbandona AirPlayQualche giorno fa abbiamo introdotto il caso di un licenziamento disciplinare illegittimo, di un dipendente che in una chat privata su Facebook aveva scambiato messaggi offensivi nei confronti del datore di lavoro.

Integriamo quanto abbiamo già sottolineato affermando che l’art. 15 Cost. definisce infatti inviolabili la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, intendendo per segretezza l’espressione della più ampia libertà di comunicare liberamente con soggetti predeterminati, e quindi come pretesa che soggetti diversi dai destinatari selezionati dal mittente non prendano illegittimamente conoscenza del contenuto di una comunicazione.

Sono ancora i giudici della Suprema Corte a rammentare come la tutela della segretezza presupponga, oltre che la determinatezza dei destinatari e l’intento del mittente di escludere terzi dalla sfera di conoscibilità del messaggio, l’uso di uno strumento che denoti il carattere di segretezza o riservatezza della comunicazione. Detto ciò, tali strumenti possono ben comprendere, come già citato alla Corte Costituzionale con sentenza n. 20/2017, sia la corrispondenza che altre forme di comunicazione, come quelle telefoniche, elettroniche, informatiche.

Ne risulta evidente, da quanto sopra, che l’esigenza di tutela della segretezza nelle comunicazioni si impone anche in riferimento a messaggi di posta elettronica scambiati mediante tramite mailing list riservata agli aderenti ad un determinato gruppo di persone, alle newsgroup o alle chat private, con accesso non libero, ma condizionato al possesso di una password fornita a soggetti determinati.

Queste caratteristiche, concludono i giudici, sarebbero incompatibili con i requisiti propri della condotta diffamatoria, che invece presuppone proprio il fatto che il messaggio sia destinato all’ambiente “sociale”.

Nel caso di specie, la conversazione tra gli utenti non poteva che essere intesa e desiderata come privata e riservata. Doveva dunque essere considerata come una sorta di sfogo in ambiente ad accesso limitato. E si deve dunque escludere che quanto detto in tale sede possa essere veicolato all’esterno. A dimostrazione di ciò, il fatto che la diffusione dei messaggi all’esterno è avvenuto per mano di un anonimo, che porta ad escludere qualsiasi intento o idonea modalità di diffusione denigratoria.

Dunque, la mancanza del carattere illecito, da un punto di vista oggettivo e soggettivo, della condotta che è stata ascritta al lavoratore, è

riconducibile piuttosto alla libertà, costituzionalmente garantita, di comunicare riservatamente, assorbe la necessità di esaminare il profilo dell’applicabilità al caso di specie delle esimenti di cui all’art. 599 c.p., comma 2, e art. 51 c.p., comma 1, (le esimenti previste dal codice penale hanno efficacia generale nell’ordinamento: cfr., per tutte, Cass. n. 25682/14) e, quindi, ogni profilo di rispetto o meno della continenza nell’esercizio del diritto di critica

Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso con il quale il datore di lavoro ambiva a confermare la legittimità del provvedimento di licenziamento, condannando la parte ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio di legittimità.

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